Negli ultimi decenni, i progressi tecnologici agricoli dei paesi industrializzati hanno da una parte, elevato il livello di produttività e migliorato la sicurezza alimentare mondiale, dall’altra hanno contribuito all’aumento delle emissioni di gas serra.

Il settore alimentare rappresenta il 30% del consumo totale di energia ed è responsabile del 22% delle emissioni di gas serra.

Pratiche come l’agricoltura e l’allevamento intensivo, le quali prevedono l’utilizzo di fertilizzanti chimici, pesticidi e antibiotici e lo sfruttamento massiccio delle risorse idriche, hanno portato, tra le altre cose, all’erosione dei terreni, alla perdita di biodiversità, all’inquinamento idrico e atmosferico che, uniti alla tendenza a produrre e consumare di più rispetto alle capacità che ha la terra di “rigenerare” le risorse in un anno determinano l’inesorabile anticipazione dell’overshoot day.

Nel 2020 l’overshoot day, ovvero il giorno dell’anno in cui la popolazione finisce le risorse naturali per quel dato anno, è stato il 22 agosto. Ciò vuol dire che attualmente sfruttiamo
l’equivalente di 1,7 pianeti per poter vivere.

È chiaro che il modello attuale non è sostenibile per l’ambiente e di conseguenza per noi.

L’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, è un programma d’azione per il pianeta sottoscritto dall’ONU nel 2013, in cui sono stati individuati 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals_SDGs) che, i paesi si sono impegnati a raggiungere entro il 2030. Tra gli obiettivi ricordiamo: sconfiggere la fame e la povertà, la lotta contro il cambiamento climatico, la riduzione delle disuguaglianze e del consumo e, un incremento delle produzioni sostenibili.

L’agricoltura sostenibile viene definita come “la produzione di alimenti che fa il miglior uso dei beni e dei servizi offerti dalla natura senza danneggiarli, in cui viene promossa la biodiversità, il ricircolo di nutrienti delle piante, la protezione del suolo dall’erosione, la conservazione e la tutela delle acque, la lavorazione minima del terreno, l’uso minimo di prodotti chimici e fertilizzanti sintetici e l’integrazione tra agricoltura e allevamento in azienda”.

I principali modelli agricoli sostenibili individuabili oggi sono: l’agricoltura di conservazione, l’agricoltura biodinamica, l’agricoltura biologica/organica industriale e l’agricoltura biologica.
Se da una parte l’agricoltura intensiva si basa sulla monocoltura quindi sull’uso diffuso di prodotti agrochimici come pesticidi e fertilizzanti, senza limitare il consumo alla reale necessità e senza preoccuparsi delle conseguenze sul pianeta, quella biologica che prevede l’utilizzo di batteri antagonisti o altri insetti per combattere i parassiti e che privilegia la fertilizzazione organica e la rotazione delle colture, potrebbe essere definita più responsabile nei confronti dell’ambiente e delle risorse, di basso impatto ambientale, dove gli equilibri ecologici vengono conservati e dove viene mantenuta la biodiversità e la qualità delle acque, dove sono migliorate la qualità del suolo ed il benessere animale.

In aggiunta all’utilizzo di modelli agricoli sostenibili, anche il consumatore è chiamato ad intervenire, sposando modelli dietetici sostenibili, come la già citata Dieta Mediterranea e impegnandosi nel limitare il più possibile lo spreco alimentare.

 

A cura dellaDr.ssa Rossella Dodi

Research Fellow

Department of Veterinary Science, University of Parma

 

Riferimenti bibliografici

[1] www.idaic.cnr.it/Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato
[2] www.overshootday.org
[3] www.barillabcfn.com
[4] www.fao.org
[5] www.unric.org/Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite